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L’uomo santo e “fuori tempo”. Il sacerdote secondo san Giovanni Paolo II


Il sacerdote per san Giovanni Paolo II è l’uomo «fuori tempo» perché l’«oggi umano» di ogni sacerdote è inserito nell’«oggi del Cristo Redentore» al di là del dovuto rinnovamento pastorale, culturale e sociale. Il più grande compito per ogni sacerdote e in ogni tempo è ritrovare di giorno in giorno questo suo «oggi» sacerdotale nell’«oggi» di Cristo, in quell’«oggi» del quale parla la Lettera agli Ebrei: «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb 13,8). Quindi, se siamo immersi con il nostro umano, sacerdotale «oggi» nell’ «oggi» di Gesù Cristo, non esiste il pericolo che si diventi di «ieri», arretrati … Cristo è la misura di tutti i tempi (cfr. Giovanni Paolo II, Dono e mistero, Libreria Editrice Vaticana, 1996, pp. 95-96). Non si tratta, allora, di inventare un «nuovo programma». Il programma c'è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace (cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte, n. 29). Dal sacerdote, infatti, gli uomini e le donne di ogni tempo si aspettano il dono di Cristo attraverso l’annuncio della Parola, la celebrazione dell’Eucaristia, l’amministrazione del sacramento della Confessione e la cura animarum. Dal sacerdote i fedeli di ogni epoca attendono la testimonianza della santità; in quanto a costante contatto con la santità di Dio, il sacerdote deve lui stesso diventare irradiazione della santità. E’ il medesimo suo ministero ad impegnarlo in una scelta di vita ispirata al radicalismo evangelico. Cristo ha bisogno di sacerdoti santi! Soltanto dal terreno della santità sacerdotale può crescere una pastorale efficace, una vera «cura animarum». I frutti duraturi degli sforzi pastorali nascono dalla santità del sacerdote. Naturalmente, sono indispensabili la continua formazione alla scuola della preghiera e della meditazione, lo studio, l’aggiornamento, l’ardore missionario, una preparazione adeguata che renda capaci di cogliere le urgenze e di definire le priorità pastorali (cfr. Giovanni Paolo II, Dono e mistero, pp. 101-102). Il modello a cui guardare è indicato da Giovanni Paolo II nel Santo Curato d’Ars ideale di zelo sacerdotale per tutti i pastori.

E' un fatto che, nel villaggio di Ars, c'era parecchia indifferenza ed assai poca pratica religiosa tra gli uomini. Il Vescovo aveva così avvertito Giovanni Maria Vianney: «Non c'è molto amor di Dio in quella parrocchia: voi ve lo porterete». Ma abbastanza presto, ben al di là del suo villaggio, il Curato diventa pastore di una moltitudine che giunge da tutta la regione, da diverse parti della Francia e da altri Paesi. Si parla di 80.000 per l'anno 1858! Si attende a volte per parecchi giorni prima di incontrarlo e di confessarsi. Ciò che attira, non è tanto la curiosità e neppure la giustificata fama dei suoi miracoli e delle guarigioni straordinarie, che il Santo per altro vorrebbe nascondere. E' ben più il presentimento d'incontrare un Santo, sorprendente per la sua penitenza, così familiare con Dio nella preghiera, straordinario per la sua pace e la sua umiltà in mezzo ai successi popolari, e soprattutto così perspicace nel corrispondere alle disposizioni interiori delle anime e nel liberarle dai loro pesi, soprattutto al confessionale. Sì, Dio ha scelto come modello per i pastori uno che poteva apparire agli occhi degli uomini povero, debole, senza difesa e spregevole (cfr. 1Cor 1,27-29). Egli lo ha gratificato dei suoi doni migliori quale guida e medico delle anime (cfr. Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo 1986).



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